La fabbricazione della Teglia | ||
Gruppo Culturale Rontagnanese. |
Siamo
andati di persona a verificare il procedimento che Pierino usa alle Ville
di Montetiffi, simile, salvo qualche variante a quello usato da Leo al
Castello di Montetiffi.
Le
materie prime per la fabbricazione delle teglie sono: terra rossa e terra
blu; ed un sasso marmorizzato, di calcite.
La
terra rossa è un composto ricco di ferro senza che frammisti vi siano
altri materiali a tessitura più grossa, l'argilla di cui è composta
principalmente questa terra è di tipo montmorillonitico.
Questo
tipo di argilla è formata da foglietti sottilissimi di alcuni elementi,
Al2 (OH)2
Si4 010.
nH20. come si vede dalla formula fra i foglietti di
silicio, alluminio ed ossigeno vi possono essere notevoli quantità di
acqua.
Questo
terreno si è formato in ambiente ossidante dove il
ferro si trova allo stato ferrico (Fe3+) pochissimo
humifero, dove avviene la decomposizione dei minerali ferriferi.
Mentre
invece le terre blu si sono formate in ambiente riducente, idromorfo dove
il metallo predominante è ancora il ferro, ma allo stato ferroso (Fe2+).
Ambedue
le terre sono raccolte da Pierino a circa 500 metri ad est delle Ville nei
cosiddetti «Grimoni».
Successivamente
vengono seccate al sole e quando l'acqua è uscita abbondantemente dai
foglietti la terra è secca ed è pronta per essere battuta e sminuzzata.
Una
volta compiute queste operazioni, in misura di circa 65% di terra rossa e
35% di terra blu vanno messe in mastelli a macerare nell'acqua per 2 o 3
giorni per renderle più duttili ed essere lavorate.
Mentre
il marmo, che è un sasso quarzoso contenente miche e molte altre impurità,
una volta veniva raccolto nei pressi, oggi, a seguito dello stato di
abbandono delle terre, ha obbligato i tegliai a fornirsi del «prezioso»
materiale altrove.
La
seconda operazione è quella di cuocere il marmo nel forno o, quando non
esiste forno, fra la legna stessa usata per la cottura delle teglie.
Una
volta cotto questo si rende più friabile con uno speciale marchingegno
che si adopera appunto per sminuzzarlo.
Esso
è praticamente un grosso martello di legno con la punta di ferro la quale
batte in una specie di grossa ciotola ove si trova il marmo.
Funziona
come una leva il cui fulcro è situato circa a metà dei manico, ed è
azionato da tutti due i piedi dell'operatore.
A
questo punto il marmo va setacciato; le particelle più minute di circa 2
millimetri vengono utilizzate, le più grandi vengono rimesse nella grossa
ciotola.
Una
volta preparate le due materie prime pronte per essere utilizzate, si
procede all'impasto tenendo conto che per ogni quintale di terra ci vanno
circa trenta chilogrammi di marmo.
Con
queste dosi si preparano circa 120 teglie che corrispondono al numero
standard per una normale infornata.
Ogni
teglia si origina da una porzione di impasto, situata su di un asse mobile
posta sopra una specie di sgabello girevole dei tipo che usano i vasai per
modellare i loro vasi.
Fra
asse e impasto, per facilitare il distacco ci si mette un po’ di cenere
ottenuta dalla cottura precedente delle teglie stesse.
Lo
sgabello girevole è azionato con i piedi nudi.
Una
volta ottenuto un impiastro rotondo dei diametro di 40 cm. circa si passa
con un cordone sempre di impasto per fare l'orlo.
Mentre
si eseguono queste operazioni si deve avere l'accortezza di avere sempre
le mani bagnate.
Quindi
si passa ai lavori di rifinitura: modellando l'orlo; eliminando le parti
superflue ed infine ripassa tutta la teglia con uno straccio bagnato.
Dopo
le fasi di preparazione e di modellazione, si passa alla fase di.
stagionatura molto più lunga delle prime 2 fasi, la cui durata può
variare da 2 o 3 settimane (estate) a 7 o 8 (inverno).
Le
teglie ancora sopra le assi non fisse allo sgabello girevole vengono
lasciate in questo stato per 3-5 ore e poi rimosse sopra una tavola più
lunga e poi poste su mensole situate ai lati della bottega, oppure anche
fuori quando la stagione lo permette.
Queste
tavole lunghe nei primi giorni vanno girate spesso per non permettere alle
teglie di attaccarsi alle tavole stesse.
Dopo
15-20 giorni le teglie che hanno subito una leggera deformazione si
raddrizzano collocando pezzi di teglie vecchie sotto il lato deformato.
Nella
bottega artigianale delle Ville di Montetiffi esistono 2 forni.
Tali
forni furono costruiti da Pierino.
Quindi
fino a poco tempo fa la cottura delle teglie veniva eseguita senza forno
su cataste di legna risultando molte volte deformate per il cedimento
della legna mano a mano che bruciava.
Nel
forno piccolo vanno situate circa 7 teglie a forma di semicerchio quindi
si appicca il fuoco con legna abbastanza sottile e qui si lasciano
temperare per circa 10-15 minuti.
Questa operazione è necessaria altrimenti la teglia si
spaccherebbe.
Il
forno grande è costituito da un muretto a forma rettangolare con un lato
aperto, lungo circa due metri largo un metro, ed alto 5Ocentimetri e non
chiuso da una volta come lo è invece il forno di Montetiffi.
A
metà circa dei muretto si trova una griglia che deve sostenere le teglie,
sotto la quale si trova la legna ed il marmo che deve cuocersi.
Sopra
la griglia dei forno ci stanno tutte le circa 120 teglie.
Prima
di accendere il fuoco si deve creare una specie di volta sopra le teglie
per permettere a queste di cuocersi nel modo più opportuno. La volta si crea, cercando anche di rattoppare i buchi più piccoli, con vecchie teglie non adatte all'uso (rotte o malformate).
Il
tempo di cottura è di 2-3 ore circa.
Ed
infine dopo questo lungo e laborioso lavoro la teglia è pronta per essere
immessa sul mercato.
Il
mercato è quasi esclusivamente locale, tranne alcuni acquirenti venuti da
paesi e città vicine.
In
estate Piscaglia Pierino riesce a fare anche un'infornata al mese ma in
inverno il ritmo è molto rallentato.
Fino
ad oltre la metà dei nostro secolo, numerose erano le fabbriche di testi
ancora funzionanti nel territorio di Montetiffi.
A
Cà di Zolino (dalla famiglia
Zolini di Montetiffi esistente nel periodo rinascimentale) era funzionante
la bottega di Garelli Clemente.
Il
figlio, Garelli Michele, aveva un'attività analoga a Molino di Montetiffi.
Sempre
qui a Molino anche Moni Francesco (detto Manguzzo) faceva le teglie.
Ed
addirittura, sempre a Molino, anche il fratello di Manguzzo, separatamente
dal fratello fabbricava teglie.
Questi
era Moni Getullio che aveva esteso il proprio mercato fino a Cesena ed
anche fino a Ravenna, anzi, proprio a Cesena mentre attraversava la
strada, per rifornire un negozio, di teglie, un'automobile gli fu fatale.
Un
altro luogo ove si fabbricavano le teglie era Cà
di Grillo ove
il principale artigiano era Reali Luigi noto per il carattere un
po' estroso.
Reali
Sisto che abitava a Santa Marta, borgo situato sulla strada che conduce a
Talamello in provincia di Pesaro; e Reali Antonio che conduceva un podere
a Montetiffi, anche essi erano tegliai ma solo quando il lavoro dei campi
dei loro poderi lo permetteva cioè in inverno, quando, tutt'è due
ritornavano a Cà di Grillo dove per conto proprio facevano le teglie.
Il
Castello di Montetiffi
è il
capoluogo dei tegliai come abbiamo visto.
Tra
le varie generazioni che si succedettero al trespolo del tornio troviamo
l'attuale artigiano Reali Leone detto Leo.
Anche
il nonno di questi si chiamava Leone ed era uno dei più esperti tegliai
dell'epoca.
Questi
aveva due figli e, come succedeva spesso in certi casi in quei tempi,
divennero due tegliai; uno si occupava della fabbricazione e l'altro dei
commercio.
Infatti
mentre Reali Giovanni si occupava degli impasti e delle infornate, il
fratello Reali Sante andava in giro con la mula a smerciare il
prodotto.
Se
infatti la produzione è importantissima, la collocazione dei prodotto sul
mercato non lo era da meno.
Il
territorio Romagnolo-Feretrano era suddiviso in varie «zone commerciali»,
per evitare un inutile concorrenza.
Cosi
il campo di azione di Sante e famiglia era esteso alle Marche ed arrivava
a Pesaro ed alcune volte anche fino a Fano.
Mentre
il mercato di Cà di Zolino e Molino era concentrato più a sud est di
Montetiffi che altrove.
Una
volta a Montetiffi esistevano solo mulattiere ed i tegliai come tutti gli
altri commercianti erano costretti a costruire un magazzino ove esisteva
una strada per poter smerciare il prodotto con un carro anziché con la
mula.
Così
ad esempio fra Garelli Clemente di Cà di Zolino ed il figlio Garelli Michele
di Molino ed i Reali di Montetiffi fu creata una sorta di società per la
costruzione di un magazzino ove deporvi la merce in attesa di essere
trasportata nei luoghi di vendita.
Il
magazzino fu costruito a Secchiano una località vicino a Novafeltria,
allora chiamata «Mercatino Marecchia», che sorgeva da secoli su di una
strada di facile comunicazione.
Il
trasporto delle teglie da Montetiffi a Secchiano avveniva a dorso di mulo.
Proprio
per questo alle teglie durante la lavorazione venivano modellate due
orecchiette forate per poter facilitare l'imballaggio delle teglie sul
dorso dei mulo, ora queste orecchiette non hanno più ragione di esistere,
infatti Piscaglia Pierino di Ville fabbrica teglie prive di tali
accorgimenti.
Tuttavia
per motivi di estetica le teglie sfornate da «Leo» di Montetiffi portano
ancora questi due particolari a testimonianza di quanto abbiamo appena
detto.
La
massima portata della schiena dei mulo era di 30-40 teglie.
Dopo
aver fatto 5-6 carichi di mulo, si partiva con il «birroccio» (piccolo
carro molto usato quando il trasporto nella campagna avveniva con forza
animale).
La
portata dei birroccio era di 200-250 teglie ma a volte il carico superava
le trecento unità.
I
viaggi erano lunghi e faticosi e comportavano un'assenza da casa per
diversi giorni, così una volta partiti da Secchiano il ritorno a casa
avveniva almeno 3 giorni dopo: un giorno per andare nei luoghi di smercio
un giorno per vendere il prodotto ed un giorno per tornare.
Quando
la strada oltre che lungo la valle dei Marecchia fu costruita anche lungo
la valle dell'Uso il deposito delle teglie si spostò nella vicina strada.
In
un primo tempo i Garelli ed i Reali stabilirono il deposito a Ponte Uso
(Sogliano R.)presso un certo Stacchini, poi in un secondo tempo fu
trasferito nella vicina Ponte Rosso indi si stabilì, con la costruzione
di una nuova strada, definitivamente a Montetiffi.
Anche
i Moni di Molino avevano un magazzino a Secchiano ma separatamente dai
Reali e Garelli.
Reali
Luigi ed i fratelli Sisto ed Antonio di Cà di Grillo erano forse gli
unici a non avere un magazzino di deposito, questo perché il loro era
prevalentemente un mercato locale esteso al massimo fino a Cesena, il
trasporto avveniva non col birroccio ma a dorso di mulo per le impervie
mulattiere di allora.
I
Piscaglia di Ville Montetiffi pur smerciando le teglie nei luoghi siti nel
comune od al massimo nei comuni vicini avevano costruito un deposito a
Meleto di Rontagnano sulla provinciale 11 che conduceva da S. Agata
Feltria a Savignano sul Rubicone e che grazie al passo dei Barbotto
metteva in comunicazione pure con la valle dei Savio.
Oggi
gli unici due tegliai rimasti non hanno più bisogno di muoversi,
riuscendo appena ad accontentare i numerosi acquirenti che si presentano e
che addirittura prenotano le teglie ancora da infornare.
I
maestri tegliai erano tutti di Montetiffi ad esclusione di un certo Reali
di Secchiano, anch'egli originario di Montetiffi e cugino dei Reali di Cà
di Grillo.
Fu
proprio questi che per primo applicò l'uso dei forno alla fabbricazione
delle teglie.
Il
suo esempio fu seguito da Reali Giovanni di Montetiffi circa 30 anni fa
che pur avendo lo stesso cognome non era parente ne con lui ne con i Reali
di Cà di Grillo.
Si
ha notizia che a Forlì si tenta la fabbricazione della teglia
industrializzata, attuata da un ex operaio della «Becchi» famosa
fabbrica di stufe.
Però
con questo metodo le teglie risultano molto più grandi di spessore con
conseguente maggior consumo di legna e con una minor evaporazione di acqua
dalla piadina con conseguenze sulla qualità della piadina stessa che
risulta meno asciutta.
Da
questa fabbrica e da quella ora non più esistente di Secchiano furono
tentati molti esperimenti per aumentare la resistenza delle teglie alla
cottura, fra i quali quello di conglobare nella teglia stessa una sottile
rete metallica in modo da creare quella che possiamo definire una «terra
cotta armata».
Altro
congegno è stato quello di circondare la teglia di un sottile nastro di
ferro dopo la cottura in quanto durante la cottura la teglia diminuisce la
propria circonferenza.
I
fattori negativi che si oppongono a questi innovamenti sono nel primo caso
l'eccessivo spessore della teglia che, come detto sopra si riflette nella
qualità della piadina, ed anche la difficoltà di cottura delle teglie
nel forno in quanto le teglie così preparate si fendono facilmente lungo
le maglie della rete.
Nel
secondo caso, come del resto anche nel primo, il costo della teglia non
compensa la durata della stessa.
Anche
Reali Leone di Montetiffi ha provato a cambiare un pò
il procedimento tradizionale usando invece della ormai sperimentata
terra, un'argilla proveniente da S. Sepolcro usata per la fabbricazione di
materiale refrattario risparmiandosi così tempo e fatica.
Ma
appena mise le teglie a cuocere nel forno scoppiarono quasi tutte mettendo
così fine all'esperimento.
Il
procedimento usato oggi da Leo di Montetiffi non è molto diverso da
quello usato da Pierino delle Ville di Montetiffi.
Una
volta l'argilla veniva raccolta in un luogo detto le «motte», di
proprietà di vari contadini, come i Tornani ed un certo Piscaglia Antonio
tutt'è due di Montetiffi.
L'operazione
di prelievo adesso come allora si fa una volta sola per tutto l'anno,
solitamente in estate.
Quando
i tegliai erano molti si costituivano in una sorta di società di prelievo
e ciascuno pagava una certa quota al proprietario dell'appezzamento ove si
prelevava la terra per circa un settimana al fine di avere un'adeguata
scorta per tutto l'inverno.
L'argilla
veniva presa ad una profondità di 3-4 metri circa in una fossa comune a
tutti i tegliai e poi trasportata a dorso di mulo nei propri depositi.
Molte
volte scavando fino ad oltre 4 metri la terra adatta non veniva trovata.
non essendo stato trovato il filone, ed allora il buco veniva ripetuto in
un altro luogo.
Ultimata
l'operazione di prelievo i tegliai si impegnavano a richiudere il buco per
motivi di sicurezza.
Anche
se non si registrano incidenti di rilievo, lavorare a quella profondità
con gli attrezzi allora disponibili doveva essere alquanto rischioso.
Leone,
una volta depurata e sminuzzata l'argilla, la mette a macerare in una
vasca scavata nella roccia, il tempo di macerazione è sempre lo stesso di
Pierino delle Ville cioè 3-4 giorni.
La
quantità di argilla per ogni infornata invece è leggermente superiore:
1,5 quintali per circa 140 teglie.
Una
volta i sassi quarzosi detti «marmo» a Montetiffi venivano cercati nel
letto dei fiume fra i sassi trasportati dalla corrente, mentre ora Leone
li fa venire direttamente da Badia Tedalda.
Una
volta fatto l'impasto con il marmo opportunamente sminuzzato e cotto e la
terra argillosa proveniente dalla macerazione si passa alla fase di
cottura vera e propria, 1 Kg. circa per ogni teglia come nel procedimento
analogo attuato da Piscaglia Pierino delle Ville di Montetiffi.
La
differenza sta nella cottura: infatti Leone avendo il forno chiuso da una
volta di mattoni refrattari, dopo aver sistemato le circa 140 teglie
all'interno del forno prima accende un fuoco leggero per la temperatura
per breve tempo, poi mano a mano si aumenta il fuoco, se le teglie non si
rompono resistendo alla temperatura, si alimenta ulteriormente il forno
con un quantitativo di legna sufficiente ad ultimare la cottura delle
teglie.
Il
quantitativo di legna usata per la cottura in un forno è notevolmente
inferiore a quello usato nella cottura senza forno. Quando il forno non esisteva si usavano circa 1,5 quintali di legna quindi si accendeva il fuoco e per evitare dispersioni di calore si usava, come abbiamo detto precedentemente ricoprire con teglie o pezzi di teglia non più utilizzabili, ed il tutto veniva ricoperto con letame o materiale isolante il calore. |