Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nasce a S.Mauro di Romagna nel 1855.

All'età di soli dodici anni perde il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti; di conseguenza la famiglia è costretta a lasciare la tenuta che il padre amministrava e perde la tranquillità economica di cui godeva.

Nei successivi sette anni Pascoli perde la madre, due fratelli ed una sorella.

Prosegue gli studi a Firenze e poi a Bologna dove aderisce alle idee socialiste, fa propaganda e viene arrestato nel 1879; nel 1882 si laurea in lettere.

Insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno, cercando di riunire attorno a sè i resti della sua famiglia e pubblicando le prime raccolte di poesie: "L'ultima passeggiata" (1886) e "Myricae" (1891).

L'anno seguente vince la prima delle sue 13 medaglie d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam.

Dopo un breve soggiorno a Roma, va ad abitare a Castelvecchio con una sorella e passa all'insegnamento universitario, prima a Bologna, poi a Messina e a Pisa; pubblica tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche.

La sua produzione poetica prosegue con i "Poemetti" (1897) e i "Canti di Castelvecchio" (1903); sempre nel 1903 raccoglie i suoi discorsi sia politici (si era intanto convertito al credo nazionalista), che poetici e scolastici nei "Miei pensieri di varia umanità".

Rileva poi la cattedra di letteratura italiana a Bologna, succedendo al Carducci al cui insegnamento si riallaccia; pubblica gli "Odi ed inni" (1907), le "Canzoni di re Enzo" e i "Poemi italici" (1908-11).

Nel 1912 la sua salute peggiora e deve lasciare l'insegnamento e curarsi a Bologna, dove muore poco dopo.

Tra i protagonisti della letteratura italiana di fine Ottocento, parallelamente alla sua carriera di insegnante e docente universitario, Pascoli condusse un’esistenza tutta consacrata alla poesia.

I temi della sua poetica (che egli avrebbe delineato nella sua teoria "del fanciullino" e che avrebbero trovato la più alta espressione nelle raccolte di versi delle Myricae e dei Canti di Castelvecchio) trassero dalla contemplazione della natura, dalle piccole cose di ogni giorno, dagli affetti familiari, dalle memorie e dal dolore (dal dato quindi più scopertamente autobiografico, legato a un'infanzia segnata dai lutti e a una vita solitaria) la loro fonte d’ispirazione più fresca e diretta.

Nel frattempo Pascoli sperimentava un nuovo linguaggio poetico che avrebbe avuto una grande influenza sulla poesia italiana del Novecento e che colloca il poeta a cavallo dei due secoli, conferendo alla sua opera una modernità che talvolta gli è stata disconosciuta: la critica pascoliana è infatti tradizionalmente oscillante tra un Pascoli che chiude il secolo romantico e un Pascoli che apre quello dell’innovazione e della sperimentazione poetica.

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