CAMPANIA - Napoli

Mangiamaccheroni - Il termine "maccheroni" non ha una etimologia precisa.

Usato originariamente per designare paste variamente ripiene, sul tipo dei nostri ravioli, lo troviamo impiegato (verso la fine del XIII secolo) per indicare dei gnocchetti di semola simili agli attuali "malloreddus"sardi.

Fino al '700, in pratica, tutti i tipi di pasta vengono genericamente definiti "maccheroni" fino a che i napoletani - divenuti nel frattempo "mangiamaccheroni" per definizione - si appropriano del termine e lo usano quasi esclusivamente per identificare le paste lunghe trafilate.

Ormai - siamo agli inizi dell'ottocento - i "maccheroni" rientrano nell'alimentazione quotidiana della popolazione per la loro qualità di cibo semplice, povero, ma soprattutto nutriente e veloce.

I primi dagherrotipi ci mostrano i "maccheronari" agli angoli delle strade intenti a cuocere in enormi pentoloni sobbollenti di brodo vegetale la vivanda e servirla, appena cosparsa di formaggio grattugiato e insaporita col pepe e il basilico, a viandanti che mangiano davanti al banco senz'altro ausilio che le mani.

Da questo momento in avanti i maccheroni - intesi come pasta lunga, tonda e piena - cominceranno ad essere chiamati "spaghetti" e ad identificare non soltanto i napoletani ma tutto il popolo italiano.

Zeppole - Nella versione "tradizionale" (quella presentata al Festival) le zeppole si ricavano dalla frittura di un impasto composto da acqua, farina e lievito e rappresentano il tipico piatto della friggitoria napoletana.

In occasione del festival sono state preparate e servite anche le crocchè (crocchette di patate ripiene) e gli scagliuozzi (triangoli di polenta fritti).

Brodo di polpo - A seguito della dominazione francese nella cucina napoletana furono introdotte le zuppe in brodo, considerate una leccornia per ricchi, in quanto polli o carni erano pressoché inaccessibili ai plebei.

La fantasia dei napoletani non è venuta a meno e si scoprì che il brodo si poteva fare anche con ingredienti meno costosi, come la cotenna (cotica di maiale)  o il polpo.

Ancora oggi nei vicoli di Napoli, soprattutto in inverno, si trovano bancarelle che vendono "o' bror' e' purpo".

Su un fornellino a carbone, in una pentola che fuma in continuazione, un grosso polipo si fà cuocere in abbondante acqua con qualche cucchiaio di olio d'oliva, peperoncino e sale.

Il brodo si gusta sorseggiandolo da un bicchierino oppure versatolo su un tozzo di pane raffermo avendo cura di non far cadere una sola goccia.

La vera pizza napoletana -  La storia della pizza è antichissima, alcuni la fanno risalire  addirittura all'età Neolitica, altri ad alcuni pani speciali preparati in epoca romana, certo è che nel Seicento esistevano le pizze, anche se ancora non veniva utilizzato il pomodoro.

Forse la data simbolo della pizza è quella dell'invenzione della "margherita", nel lontano 1889, quando Umberto I° di Savoia, accompagnato dalla moglie Margherita,si recò a Napoli: alla Regina Margherita fu dedicata la pizza con mozzarella e pomodoro, guarnita per l'occasione con le foglie di basilico fresco, come tributo al tricolore italiano.

 

Dal film di Vittorio De Sica "L'Oro di Napoli", del 1954, si può osservare come già in tempi lontani la pizza era concepita come un odierno fast food, tanto che in un'insegna dell'epoca era scritto "Mangiate oggi e pagate fra otto giorni".

Allora pizza voleva dire Napoli, oggi la pizza è di più: pizza è ormai il mondo intero.

   

"Usi e costumi di Napoli" Francesco de Bourcard - 1866

Il vero "Mangiamaccheroni" è sempre un essere eccezionale, il quale non gusta che quel cibo solo e di ogni altro s'infastidisce; egli fa guerra agli intingoli e bestemmia i brodi.
Il mangiatore del volgo si fa forchetta di due dita, solleva i vermicelli mezzo palmo sopra la bocca e poi, facendo un lieve movimento a spirale,ve li caccia dentro ...

... il pasticcere sta allo "zeppolaiuolo" come il nobile al plebeo; il primo appartiene all'aristocrazia e mette il suo forno a Toledo a Chiana, mentre il secondo è democratico e stabilisce i suoi fornelli nei vicoli angusti della nostra bella città, affumicando sé e i suoi vicini col fumo delle sue padelle.
Egli frigge "Zeppole, Scagliuozzoli e Panzarotti" ...

... ma la vera morte del polipo è nell'acqua bollente, la sua tomba la pignatta ...
... per far poi che il polipo acquisti maggior sapore si usa cuocere con la stessa acqua che da esso emana; si ha così "O' bror' e' purpo".

   

"Timpani e Tempura" è un singolare chiosco aperto nel 1997 nel cuore pulsante di Napoli.

Gli ideatori di questo punto gastronomico sono i fratelli Antonio e Lucio Tubelli, che dopo aver assimilato la cucina della tradizione napoletana, l'hanno rinnovata e messa in strada, diventando meta di golosi ed appassionati del "cibo di strada" ...

... "Cibo di strada" per golosi dall'animo vagabondo che sono alla ricerca di un piacere "trasgressivo"; quello di abbordare qualcosa di gustoso, senza comodità, in piedi, senza tavolo o sedie; solo le mani e un cartoccio colmo di sapore che pare appena uscito dalle case, "appena sfornato", proponendosi in strada fuori orario e senza regole, come un clandestino ...

Davide Paolini

 

(Aggiornamento 4° edizione - Ottobre 2006)

Pizza Fritta - Le pizzerie a Napoli rappresentavano, all'inizio del secolo, una categoria strana, un ibrido della gastronomia e cucina.

Pizzerie erano le latterie, le rosticcerie, le osterie ma erano anche delle friggitorie, piccole botteghe, dove si preparava il famoso "fritto napoletano": arancini di riso, crocchette di patate, panzarotti, verdure in pastella, tanto apprezzate e gustate anche oggi, e poi le cosiddette "arie fritte" cioè delle palline fatte con la stessa pastella usata per "impanare" le altre pietanze.

Tornando indietro nel tempo abbiamo scovato la descrizione della "pizza fritta" in un testo napoletano d'epoca, e ve la riportiamo così come la facevano i pizzaioli storici, quelli che portavano l'antica stufa di rame su un panno arrotolato ed appoggiato sulla testa.

La pizza fritta è tipo un calzone, con ingredienti interni tra due dischi di pasta combacianti e richiusi ad orlo, buttati nell'olio bollente, l'imbottitura o farcitura è spesso una trattativa tra il cliente ed il pizzaiolo.

La pizza fritta classica è vuota con il ragù sopra, la "chicchinese" è a base di scarola cruda con acciughe ed olive, oppure c'è quella con la mozzarella, il salame ed il pomodoro.

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