GENNAIO
6
Pasquétta
17
Sant'Antòni
25
S. Pèvul di segn |
Epifania
ed origine della "Pasquella" o "Pasquétta" (6)
L'Epifania, nelle religioni pre-cristiane ed in quella celtica, era la
data di chiusura delle "12 notti" dedicate al
passaggio dell'anno nel periodo successivo al solstizio invernale.
Si credeva quindi, in questo periodo "fuori dal tempo",
al ritorno dei morti in dimensione terrena.
Era una ricorrenza importante perché si pensava che gli antenati (legati
ad una cultura agraria di fertilità) in quella notte portassero augurio
di abbondanza.
Ecco perché fin dai tempi della prima dominazione dei Celti in Romagna, la
notte della vigilia di questo giorno i giovani si travestivano ed andavano
di casa in casa a formulare auguri.
In Romagna si è sempre creduto anche che nella notte dell'Epifania gli
animali parlassero e che portasse molta sfortuna a coloro che avessero
ascoltato i loro discorsi (specialmente quelli dei buoi nelle stalle delle
case di campagna).
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I
giorni della merla (29-30-31 gen. / 1-2-3 feb.)
Sono chiamati "i giorni della merla" gli ultimi 3
giorni di gennaio (ed anche i primi 3 di febbraio) considerati i giorni
più freddi dell'anno.
Un'antica leggenda romagnola narra che una volta la merla aveva le piume
bianche e che durante il mese di gennaio se ne stesse al calduccio nel suo
nido senza mai uscire per paura del freddo.
Vedendo però, verso la fine del mese, apparire il sole la merla uscì dal
nido credendo che fosse arrivata la primavera.
Gennaio allora, per farle dispetto, mandò negli ultimi 3 giorni del
mese un freddo tanto intenso che la merla per non morire dovette
introdursi nel pertugio di un camino fumante.
La merla si salvò, ma le sue piume da bianche divennero nere per il fumo
del camino e di quel colore rimasero per sempre.
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FEBBRAIO
2
La Madòna Candilòra
4
La Madòna de' fugh
11
La Madòna d'lurd |
La
Madonna Candelora
In Romagna il 2 febbraio, giorno dedicato alla Purificazione di Maria
Vergine, é più comunemente conosciuto come "e dé dla Candilora"
(il giorno della Candelora) perché nelle chiese, dopo la funzione
vespertina, si forma una processione con la statua della Madonna seguita
dai fedeli con in mano una candela accesa.
Al termine del rito ciò che rimane della candela viene portato a casa e
conservato da ciascun partecipante per essere acceso davanti ad
un'immagine sacra se qualche familiare, nel corso dell'anno, avrà gravi
problemi di salute.
Il 4 febbraio, a Forlì ed a Faenza, si festeggia "la Madona dè
fugh" (la Madonna del fuoco); un'immagine della Vergine
miracolosamente rimasta indenne in due circostanze in cui il locale in cui
si trovava fu distrutto completamente dal fuoco di un incendio.
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I
dè dla canucéra (26-27-28)
Gli ultimi 3 giorni del mese sono quelli del "lom a mèrz"
(giorni in cui si fa "lume" (luce) a marzo con le focarine accese sulle colline) in
omaggio alla primavera che sta arrivando, ma sono assai più noti come "i
dè dla canucéra".
Secondo la tradizione si credeva che in questi giorni vi fosse un'ora
(sconosciuta a tutti) in cui ogni cosa o riusciva male o andava a
non lieto fine a causa di un influsso misterioso: la "canucéra"
appunto.
Probabilmente la canucéra é riferita alla malefica parca Atrope,
colei che porta sempre con sé la canocchia (la canna con la lana
da filare) con la quale tesse l'esistenza degli uomini.
Per questo nelle campagne in tali giorni i contadini se ne stavano senza
far nulla per paura che andasse loro a male il raccolto o la vendemmia.
Anche oggi si sente dire, soprattutto dalle persone anziane, riferendosi
ad un individuo sempliciotto o balordo "l'é nasù e dè dla
canucéra" (è nato il giorno della "canucéra"), é nato nel momento infausto, sbagliato; cioè é
nato stupido.
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MARZO
18
La nòta dal fugaràini
25
La Madòna di
garzùn |
Lom
a mèrz (1-2-3)
Come gli ultimi 3 giorni di febbraio anche i primi 3 di marzo, secondo
la tradizione romagnola, sono noti come i giorni del "lom a mèrz".
Per le campagne e sulle colline (ma anche nei crocicchi dei borghi delle
piccole città prima che il traffico dei giorni nostri lo impedissero)
verso sera si accendevano fuochi per fare lume alla primavera in arrivo e
come manifestazione propiziatoria.
Tradizione pagana praticata prima dalle genti celtiche, che fin dal 600
a.C. hanno abitato la nostra terra e che ringraziavano i loro dei per
l'inverno che era passato, poi praticata dai Romani che accendevano fuochi
in omaggio a Cerere, dea dei campi e delle messi.
Successivamente il cristianesimo, mantenendo le tradizioni delle genti
delle campagne, ha continuato questi riti in onore però della Vergine
(come detto per la Candelora), di S. Giuseppe (il 19 marzo) e per la festa
della "Madona di garzùn" (il 25 marzo, giorno in cui un
tempo si rinnovavano i contratti di lavoro fra padroni terrieri e
braccianti, i cosiddetti "garzùn").
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I
giorni prestati (29-30-31 mar. / 1-2-3 apr.)
"I dè imprestè" sono gli ultimi 3 giorni di marzo ed
i primi 3 di aprile, quasi sempre forieri di burrasca, vento, tempo
perturbato e piovigginoso.
La tradizione popolare romagnola narra (ma le versioni cambiano
leggermente da località a località) di una pastorella la quale, pensando
di avere salvato i propri capretti dai capricci meteorologici di marzo,
vedendo finalmente il sole dopo un duro inverno gli ultimi giorni del mese
decise di portare al pascolo il suo piccolo gregge.
Allora marzo, per punire la mancanza di rispetto della pastorella verso di
lui, chiese in prestito ad aprile tre giorni da gestire come egli voleva
e, avendo questi acconsentito, cominciò a far cadere per 3 giorni sui
poveri capretti pioggia ed intemperie finché, dopo tante peripezie, i
poveri animaletti perirono.
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APRILE
1
E dè di cuchèl |
Il
mese degli imprevisti
Dopo il marzo ventoso c'è in aprile l'esplodere della fioritura.
Ma attenzione alla nebbia ed alle intemperie che possono far cadere i
fiori degli alberi da frutto.
Dice infatti un proverbio: "la nebia d'avrìl la fa casché i
fiùr zantìl" (la nebbia d'aprile fa cadere i fiori gentili).
Era tradizione un tempo (ma in alcune località della Romagna lo è
ancora) il primo giorno di aprile "mandare in giro" qualcuno,
vale a dire creargli burle e poi ridere alle sue spalle.
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I
quattro "aprilanti" (1-2-3-4)
Secondo un'antica tradizione romagnola se piove nei primi 4 giorni
di aprile continuerà a piovere per 40 giorni.
Dice il Bagli (1884) che i primi 4 giorni del mese erano chiamati "i
quattro brillanti"; la parola "brillanti" è
sicuramente la traduzione errata di brilènt da a-brilent
(aprile, aprilanti).
Infatti un antico detto definisce "aprilante" il primo
giorno di aprile quando è piovoso, cioè quando è "aprilante"
in quanto si comporta secondo le caratteristiche tipiche di questo mese.
E i "quattro aprilanti", sempre secondo il Bagli,
annunciavano un'annata buona proprio se erano piovosi.
Sempre riguardo alla tradizione meteorologica popolare è uso comune
credere che se la Domenica delle Palme è un giorno di pioggia, il giorno
di Pasqua sarà un giorno di sole e viceversa.
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MAGGIO
1
Festa del lavoro
e La majè
3
Festa
dla Sènta Crosa
8
Fèsta
dla Madunàina |
Il
mese dei matti e dei somari
In maggio in Romagna, fin da tempi assai remoti, si credeva che gli asini
andassero in amore e che il mese fosse infausto per i matrimoni.
Infatti non se ne celebravano sia per paura che uno dei due coniugi
impazzisse e sia perché, come dice il Bagli (1885) "un' s'
cunsòma e lét" (non si consuma il letto) in quanto uno dei due
sposi era destinato a morire anzitempo.
Anche il tagliarsi i capelli in maggio, secondo una diffusa superstizione,
avrebbe portato alla pazzia.
In maggio si allungano le giornate tanto che una volta, oltre al
"mese dei matti", era chiamato anche il mese dal "collo
lungo".
|
Il
Calendimaggio e la majé
Fino alla fine del 1800 si festeggiava in Romagna il "maggio
lirico profano" o Calendimaggio.
Dicono infatti le cronache di quei tempi che "...nella notte
d'ingresso di tale mese, elettrizzandosi la gioventù, accorrono i giovani
a cantare il maggio sotto le finestre delle loro favorite.
Contemporaneamente si sentono torme di giovinette cantare canzoni ponendo
sulle finestre ed alle loro porte rami di albero con fiori, come dire di
avere piantato Maggio" (Placucci - 1818).
Ed ancora: "il primo giorno di maggio gli amanti prendono un
ramo di acacia in fiore e vanno la mattina per tempo a piantarlo o presso
l'uscio, o vicino ad una finestra dell'amata: alcune volte attaccano a
questo ramo doni come spille, fazzoletti o altro.
Poi cantano" (Bagli - 1885).
Nel Novecento inoltrato non si ha più traccia in Romagna del "maggio
lirico profano" sostituito dal "maggio lirico
religioso" ad opera della Chiesa che, come del resto per la
Pasquella, non riuscendo ad eliminare i riti popolari di origine
pre-cristiana, cercò di cristianizzarli.
Probabilmente ciò che non è ancora scomparsa tra le usanze del
Calendimaggio popolare è la tradizione di mettere la mattina del primo
giorno del mese, a digiuno, nelle finestre delle case frasche o rami di
betulle.
Un rito gestuale che è conosciuto come "majé" teso a
propiziare la difesa della casa dalle formiche e la difesa dei campi dagli
insetti.
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GIUGNO
22
L'è istèda
24
San Zvàn
(Fira a
Cisàina)
29
San Pir e Pèvul |
Ricorrenze
religiose
Giugno è il mese dell'estate, della mietitura, della commemorazione di
Santi più o meno noti che, però, hanno avuto grande importanza nella
tradizione popolare romagnola di un tempo non troppo lontano, specialmente
per quello che era inerente la meteorologia ed i lavoro agricoli.
Ricordiamo Santa Margherita (10 giugno) e San Barnaba (11 giugno) nei cui
giorni si credeva che il grano cessasse il suo sviluppo e, quindi, presto
sarebbe giunto il tempo della mietitura; San Giovanni Battista (24 giugno
- patrono della città di Cesena) giorno magico per la raccolta delle erbe
medicamentose; San Pietro e San Paolo (29 giugno) giorno propizio per la
mietitura i cui addetti, affinché le cose andassero bene anche per gli
anni futuri, dovevano mangiare 7 volte al giorno sia per far fronte
al grande dispendio di energie, sia per appellarsi ai magici poteri
dello scaramantico numero 7.
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Streghe
e superstizioni la notte di San Giovanni
In Romagna si credeva (ed in qualche borgo del nostro Appennino si crede
ancora) che la notte di San Giovanni Fosse possibile vedere le streghe che
si recavano ai loro conciliaboli nei crocicchi delle stradicciole di
campagna.
Probabilmente questa credenza ha una matrice etnica celtica come, del
resto, tutte le tradizione della nostra terra.
Questa era anche la notte in cui, per perpetuare i millenari riti legati
ad arcaici culti celtici, ognuno si muoveva per incontrare compari e
comari per raccogliere fiori ed erbe resi magici dalla rugiada di quella
notte e, quindi, adatti per essere usati per vari scopi; a bagnarsi nella
rugiada stessa e nei corsi d'acqua per ottenere prodigioso giovamento; a
cercare tesori che solo in quella notte rivelavano il proprio
nascondiglio.
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LUGLIO
25
San Giacomo |
Un
mese allegro e pericoloso
Luglio è un mese asciutto che ha visto il raccolto.
E' dunque tempo di stare allegri e di curarsi i malanni causati dalla
fatica dei campi.
Da tenere sempre presente che la civiltà romagnola è stata
prevalentemente di matrice agricola.
In questo mese, assai poco piovoso, ben presto il fieno tagliato diviene
secco ed è opportuno raccoglierlo per tempo.
Però un'estate troppo secca danneggia le colture per cui gli agricoltori
bramavano che nella prima decade del mese almeno una volta cadesse la
pioggia, anche se portata dal libeccio che essi chiamavano "curàina"
- corina - (equivalente a "garbàin" - garbino
- nel linguaggio della gente di mare), notoriamente vento proveniente da
sud-ovest e quindi molto afoso.
Nell'ultima decade del mese il sole entra nella costellazione del Leone;
è il periodo del solleone (e sol agliòn), quello più caldo e
pericoloso sia per le punture degli insetti (vespe, calabroni, scorpioni)
sia per le febbri malariche.
Si credeva che se il primo giorno dell'ultima decade il sole tramontava
tra le nuvole (int e sach - nel sacco), tutti i giorni del mese
successivo, cioè agosto, sarebbero stati nuvolosi.
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Sant'Apollinare
e San Giacomo
Luglio è anche il mese in cui si festeggia San Giacomo Apostolo (25
luglio - patrono della città di Cesenatico).
Quando nacque la città di Cesenatico, nei primi anni del 1300 con la
costruzione di un castello nelle vicinanze del corso d'acqua che poi
divenne l'attuale portocanale, fu costruito anche un piccolo Oratorio
dedicato a San Giacomo protettore dei viandanti e dei pellegrini poiché
nella piccola chiesa spesso essi, in una breve soste, si fermavano a
pregare.
Ben presto il piccolo Oratorio diventò una grande chiesa e quindi un
luogo di culto molto importante per le sempre più rilevanti soste dei
viandanti e dei mercanti che si recavano a Roma percorrendo quella che
ancora oggi (come a quei tempi) si chiama via San Pellegrino, nel
quartiere di Villalta.
Da sottolineare che Cesenatico, fino alla metà del 1800, era un grande
porto mercantile e la città viveva quasi esclusivamente di commercio di
bestiame e di ortaggi tanto che nel giorno di San Giacomo, dall'anno 1324
fino alla fine del settecento, si faceva una grande fiera commerciale
assai rinomata in tutta Italia.
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AGOSTO
10
San Lurénz
15
Assunziòn
e Benediziòn
de' mèr |
Il
bagno di San Lorenzo
Sulla riviera romagnola era tradizione che il 10, giorno di San Lorenzo,
ci si doveva immergere 7 volte nelle acque del mare a scopo
purificatorio e propiziatorio o, comunque, che un bagno in questo giorno "valesse
per 7", cioè avesse prodigiosi poteri.
Questo in seguito ad un'antica leggenda che raccontava di un tempo quando
la costa romagnola era infestata da una pestilenza mortale ed il giorno di
San Lorenzo alcuni disperati pensarono di portare i parenti in fin di vita
sulla riva del mare e di immergerli nell'acqua salata più volte e, miracolosamente, i malati guarirono.
Il ravennate L. Miserocchi scrive a tal proposito nel 1927 che per San
Lorenzo ancora "ha luogo un'affluenza straordinaria di bagnanti
specie dal contado dominati dalla credenza superstiziosa che l'acqua del
mare possegga in quel giorno non si sa quale misericordiosa virtù di
guarire mali di ogni specie mediante 7 bagni che, non pochi
semplicioni, scrupolosamente effettuavano una volta".
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La
benedizione del mare
Il proverbio sottolinea che tra il 10 ed il 20 di agosto solitamente si
verificano alcuni giorni di pioggia e mare burrascoso ("la burasca
ad San Luréns e dla Madòna" - la burrasca di San Lorenzo e
della Madonna) che preannunciano la fine dei
giorni di calura e l'inizio dell'agonia dell'estate.
E' tradizione della città di Cesenatico festeggiare a Ferragosto il
giorno dell'Assunzione con la "Benedizione del mare", cioè con
l'immagine della Vergine portata in processione lungo il portocanale e poi
in mare su di una barca da pesca seguita da altri battelli, da motonavi
cariche di fedeli e da barche da diporto.
Altro appuntamento storico di Cesenatico è la festa di Garibaldi nella
prima domenica del mese; festa con la quale si commemora l'imbarco
dell'eroe dal portocanale leonardesco per prestare aiuto a Venezia
assediata, dopo la caduta della Repubblica Romana, il 2 agosto 1849.
Durante la "festa" si disputa fra i quartieri della città il
"palio della cuccagna"; gara di coraggio, abilità ed equilibrio
già esistente nel 1324.
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SETTEMBRE
22
L'istèda la è
finida
27
San Vinzènz
29
San Michìl
e Fira di usél
a
Santarcànzul |
Il
magico "7" e la meteorologia
Un'antica tradizione della nostra terra vuole che alla prima luna di
settembre si "inchinino" 7 lune, vale a dire che le
condizioni meteorologiche che caratterizzano questa lunazione domineranno
anche le 7 successive e, quindi, per 7 mesi.
Va notato l'insistere sul "7", numero magico per eccellenza.
Settembre, come dice chiaramente il nome, era anticamente il settimo mese
dell'anno e le lunazioni che sottostanno al suo responso previsionale sono
7; anche nel caso delle settimane, fatte di 7 giorni, ci sono
molti antichi proverbi che fanno riferimento a questo numero.
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Le
previsioni del tempo
Anche il 29 settembre, giorno dedicato a San Michele, a seconda di come
era il tempo una volta si traevano previsioni.
Era notissimo il proverbio "se San Michìl u s'bagna a gli èl, e
piov fin a Nadèl" (se San Michele si bagna le ali, pioverà fino
a Natale) (Ercolani - 1971).
Ma settembre, se il tempo non è malvagio, in Romagna è anche il mese
delle scampagnate, delle sagre e delle fiere che pongono in primo piano,
oltre a paesaggi pittoreschi per la cromatica delle vegetazioni, prodotti
del sottobosco, degustazione di cibi particolari e la frutta di questo
periodo come uva, fichi, noci, mele, giuggiole e pere.
Se la cicala canta ancora in settembre vuole dire che l'estate è stata
caratterizzata dal bel tempo tanto da consentire una lunga sopravvivenza a
questo insetto.
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OTTOBRE
4
San Franzèsch
28
San Simòn |
La
vendemmia
Con ottobre si giunge al periodo comunemente conosciuto come "cuore
della vendemmia".
Un tempo, quando la vinazione era quasi un rito nelle aie dei contadini,
si cercava di non vendemmiare quando soffiava il libeccio e quando l'uva
era bagnata.
Il Placucci (1818) riporta anche la superstizione secondo cui "quando
bolle l'uva nel tino, se si fa bucato, vengono macchiati tutti li panni;
perciò in tal tempo si astengono dal farlo...".
A questo proposito scrive anche il Carloni (1952): "nel tempo in
cui fermentano i mosti è esperienza acquisita nel popolo che le macchie
di vino e di frutta in genere, che sporcano le tovaglie o quant'altro sia,
non si possono detergere per azione di qualsivoglia lavacro ma vi restano
intatte almeno fino al giorno più prossimo delle ultime
svinature...".
|
La
ripresa dei lavori nei campi
I Santi che si commemorano in questi mesi sono legati a tradizioni
propiziatorie specialmente per il mondo agricolo.
Per San Francesco (4 ottobre) e San Petronio si doveva cominciare a
raccogliere le nespole e ci si doveva preparare alla semina; per Santa
Reparata (8 ottobre) si può cominciare a raccogliere le prime olive; per
San Donnino (9 ottobre) non si doveva assolutamente seminare; per San
Gaudenzio (14 ottobre) arature e semine dovevano essere terminate.
A proposito di semina, era di cattivo auspicio cominciarla di venerdì o
in una giornata di vento.
Per il mondo marinaro invece, assai legato una volta più di oggi ai
capricci del tempo, importante era il giorno di San Simone (28 ottobre)
che solitamente era foriero di vento, freddo e della prima grande burrasca
dell'anno ("par San Simòn u s'centa la vàila e u s'romp e timòn"
- per San Simone si strappa la vela e si rompe il timone), burrasca che,
secondo la meteorologia popolare dei pescatori, si sarebbe sicuramente
ripetuta il giorno dei Santi (1° novembre) ed il giorno di Santa Caterina
(25 novembre).
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NOVEMBRE
1
E' dé di sènt
2
E' dé di murt
11
San Martàin
e Fira di béch
a
Santarcànzul
25
Sénta Cataràina |
Ricorrenze
e proverbi
Per le popolazioni celtiche, che un tempo popolavano l'attuale territorio
romagnolo (dal 600 a.C. all'epoca imperiale) il 1° novembre era il
capodanno, il momento in cui avveniva anche l'ingresso temporaneo nella
dimensione terrena dei defunti.
Non a caso in questi giorni (il 2, dopo che la Chiesa cristiana ha
dedicato il 1° a tutti i Santi) si commemorano proprio i morti.
Un tempo in questi giorni in Romagna i poveri andavano a chiedere
l'elemosina nelle case in nome dei morti stessi.
Nei primi giorni del mese nel mondo dei pescatori, alcuni decenni or sono
(quando le barche erano provviste solamente di vela), si aspettava da un
giorno all'altro la burasca di Murt e di Sènt" (la burrasca
dei Morti e dei Santi), come del resto il 25 si riversava sulla costa
romagnola la burrasca di Santa Caterina, che poteva tardare od anticipare
di qualche giorno, ma mancare mai.
"Par Santa Cataràina o che nàiva o che bràina o che tira la
curàina" (per Santa Caterina nevica o cade in nottata la brina
oppure spira forte il libeccio).
|
San
Martino
Quella di San Martino era la notte di chiusura del periodo dell'antico
calendario celtico.
In questa notte in Romagna anticamente i mariti traditi, cioè i
"becchi" o "cornuti", venivano chiamati fuori dalle
loro case a gran voce da turbe di ragazzi al suono di corni e di strumenti
a percussione perché, secondo l'immaginazione popolare, si credeva che
essi dovessero andare "alla fiera" in un luogo di raduno
notturno dal quale, per tornare alla proprie abitazioni, correvano nella
notte braccati e cacciati impigliandosi dappertutto con le
"corna".
Il notturno viaggio e ritrovo dei "cornuti" avveniva, secondo la
credenza, "in spirito" mentre il loro corpo restava a
casa addormentato.
Anche fino ai primi anni dopo l'ultimo conflitto mondiale, per scherzo, la
"notte dei becchi" alcuni gruppi di amici si radunavano
silenziosamente nel giardino di qualche loro compare per esplodere
improvvisamente con suoni e fracasso al grido di "fòra i bech"
(fuori i cornuti).
La maggior parte dei presi di mira stava allo scherzo e senza offesa
offriva da bere agli amici.
Importante nella nostra regione la fiera di "San Martino" a
Santarcangelo di Romagna, più comunemente conosciuta come "Fìra
di bèch" (Fiera dei becchi).
|
DICEMBRE
13
Sénta Luzìa
21
L'è invéran
24
Vizìlia d'Nadèl
31
Ultum dé dl'àn |
Filastrocche
e ricorrenze
"Il 4 Santa Barbara beata, il 6 San Nicolò che vien per
via, il 7 Sant'Ambrogio di Milano, e l'8 Concezion Santa Maria; il 12 convien che digiuniamo, il
13 ne vien Santa Lucia, il 21
San Tomè la Chiesa canta, il 25 abbiam la Festa Santa"
(Carloni - 1946).
In questa filastrocca vengono elencati i Santi e le ricorrenze che si
festeggiano dal 4 dicembre a Natale.
Di queste giornate la più popolare è quella del 13 dicembre, Santa Lucia
"e dè piò curt ch'u si sia" (il giorno più corto che
ci sia) oppure "la nota
piò longa ch'u si sia" (la notte più lunga che ci sia), ma anche le altre erano importanti per
il mondo agricolo di tanti anni or sono per i "segni" che
presagivano il futuro dal punto di vista meteorologico ed economico.
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Il
Natale
In Romagna, come altrove, è tradizione rinnovare un indumento la notte o
il giorno di Natale.
Questo atto puramente simbolico ritualizza il rinnovamento del tempo che
avviene in questo periodo in cui si celebra il passaggio dell'anno.
Anticamente il 25 dicembre si celebrava la "nascita del sole"
e la Chiesa cristiana, utilizzando data e contenuti di culti pagani
precedenti, pose in questo giorno la nascita di Cristo, facilitando in tal
modo il passaggio dalla vecchia alla nuova religione.
Tutto il ciclo festivo che andava da Natale all'Epifania era dedicato a
pratiche propiziatorie e divinatorie (cibi rituali, frasi augurali,
regali, banchetti, ecc...).
Nel camino doveva ardere, possibilmente per tutto questo periodo, "e
zoch d'Nadèl" (il ceppo di Natale).
Pratica magica questa che anticamente era tesa ad aiutare il rinvigorirsi
del sole ed a bruciare il passato.
Il vento nella notte di Natale era ritenuto di cattivo auspicio,
specialmente (come afferma il Placucci - 1818) se si trattava di vento
proveniente da sud.
Se il giorno di Natale il tempo era soleggiato ed il clima mite la Pasqua
sarebbe stata fredda e piovosa.
Il sereno nella notte di Natale annunciava un buon raccolto di grano ed
una buona resa dei bachi da seta.
Se Natale invece cadeva in un periodo di luna nuova, e quindi era senza
luna, si prospettava mortalità nelle greggi.
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